L’antropologia scientifica dei nostri giorni, direbbe Detienne,
“inventa” l’altro per il fatto stesso
di trascriverlo e di registrarlo, riducendo la sua parola
vivente e integrale alla materialità e alla logica di un testo.
Di qui quel “malinteso” costitutivo e strutturale che
caratterizza (come dice Anne-Christine Taylor intervistata
da Camilla Pagani nelle pagine finali del presente libro)
la pratica scientifica dell’antropologia.
Malinteso che rende appunto la scienza dell’uomo sempre di là da venire.
(dalla Prefazione di Carlo Sini)
Perché studiare, nel caso dell’antropologia,
le società ‘primitive’?
Perché rappresentare l’Altro ed esporre i suoi
manufatti in un luogo del sapere occidentale, quale è un museo?
L’intento esplicito di queste ricerche è di mettere
a confronto due tipologie di sguardo, quello estetico e
quello antropologico, come esempi di visioni occidentali
sulle altre civiltà per mettere in evidenza i pregiudizi
e i pprecondizionamenti che,
inconsapevolmente o meno,
preorientano il modo di guardare.
(Camilla Pagani, Introduzione)